La nascita di Elisa

LA NASCITA DI ELISA  – 27 MAGGIO 1996

Il 26 maggio del 1996 è una soleggiata giornata di primavera, l’ideale per fare una bella passeggiata al parco. Adoro il mio corpo al nono mese di gravidanza, è florido e forte, accarezzo il bellissimo pancione, che arrotonda un morbido vestito a fiori rosa, mi sento invasa di amore per  la nostra bambina, che si fa sentire con qualche lieve calcetto. E’ una sensazione unica e appagante sentirla dentro di me, è “tutta mia”, e so che sarà ancora così per circa 15 giorni, fino alla data presunta del parto.Io e mio marito Antonio usciamo, sono attirata dallo scroscio della Dora, resto incantata a lungo a guardare il movimento delle acque. Scattiamo qualche foto.

Torniamo a casa, dove ci raggiunge un caro amico di famiglia per la cena, abbiamo appena finito, quando, improvvisamente, sento le gambe bagnate, sono stupita, i pensieri si affollano in testa, ci vuole un attimo per capire cos’è successo, dico con tono deciso: “Scusate, ma ora io devo partorire”. E’ chiaro: ho rotto le acque. Mi sento un po’ triste, la gravidanza è già finita. “E’ troppo presto – mi dico – non sono pronta, non ho neppure finito il fiocco per annunciare la sua nascita!”. In realtà non sono pronta ad abbandonare questa “condizione”, l’attesa della nostra bambina è uno stato di perfezione per la mia femminilità.

Inizio a sentire dei dolori al basso ventre, chiamo la nostra ostetrica Gaudenzia, che ci ha supportati fin dall’inizio della gravidanza, arriva verso le 21, mi visita, spiega che dovremo ancora attendere con pazienza, è solo l’inizio del travaglio. 

Da consigli rassicuranti: restare calma, rilassarsi, fare una doccia calda, bere una tisana, cercare posizioni comode.

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Io e Antonio guardiamo un film e andiamo a letto, le fitte cominciano ad essere più intense e regolari, entro in una strana atmosfera magica, tutto sembra evanescente, come in un sogno: arriva la contrazione, è forte, dolorosa, mi siedo sul letto, cerco di respirare profondamente, Antonio si sveglia all’improvviso, mi accarezza, prende appunti su orario e durata, ecco è finita…mi rilasso e il sonno si impossessa di nuovo di me, non so quanto tempo passa, poi tutto ricomincia, sempre uguale, per tante, tante volte.

Comincio a vedere le prime luci dell’alba, Antonio non si è più svegliato insieme a me, lo scrollo un po’, dicendo che sento dolori più forti e la sensazioni di dover spingere, lui in preda all’agitazione, chiama l’ostetrica. Io in realtà sono tranquilla, sono certa di sapere cosa devo fare, avverto anche mia mamma, la voglio vicina al mio primo parto, è lei che mi ha sempre sostenuta nella scelta del parto in casa.

Al suo arrivo Gaudenzia, con l’aiuto di mia mamma, prepara i teli di cotone bianchi per il parto, insieme coprono il divano con la plastica, sistemano la bacinella per il bagnetto, mi chiedono il cambio pulito del letto matrimoniale, ho preparato le lenzuola di pizzo bianco e rosa, quelle nuove, del corredo, inaugurate per un evento così importante.  Gaudenzia mi da una tisana e si muove rapida e precisa per preparare il necessario. Scelgo la posizione, accovacciata a terra, accolta dalle braccia forti di Antonio, mia mamma, a fianco, resta in piedi pronta ad offrire il suo aiuto, se richiesto, Gaudenzia davanti a me, professionale con la sua salopette arancione, una gioia per gli occhi quel colore. 

E’ tutto perfetto, mi sento al sicuro!

Ci sono circa 10 centimetri di dilatazione, è ora, può nascere! 

Mi viene da urlare, forse troppo, allora l’ostetrica e Antonio mi aiutano a modulare la voce per accompagnare le spinte, ci sono dei momenti in cui il dolore è veramente lancinante, ma è come se la mia testa li cancellasse immediatamente, sostituiti dal pensiero che fra poco abbraccerò la mia piccola creatura. 

Sento che mani esperte spalmano dell’olio, in modo delicato, ma deciso, accompagnano il mio corpo nei movimenti di espulsione.

“Vedo la testa” – dice. Sento una forte sensazione di bruciore, per un attimo penso che il dolore sia “troppo”, ma Elisa è piccolina, passa velocemente, eccola, tesoro della mamma, ho le lacrime agli occhi, è bellissima!

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Sono le 8.55 del 27 maggio, la mia dolce Elisa è nata, piccolina, pesa poco meno di 3 chili, lineamenti fini come quelli di una bambolina, ditina lunghe e capelli neri e spessi (che ben presto cadranno, per lasciare una testina pelata, con pochi ciuffi biondini), adagiata sulla mia pancia, cerca di attaccarsi al capezzolo. Non piange, Gaudenzia la avvolge prontamente in un telo, una tenerezza infinita!Mi informa: “Neanche un punto, tutto è andato per il meglio”, in realtà non ne avevo mai dubitato. Antonio taglia il cordone ombelicale, accompagnato dalle mani e dalle istruzioni dell’ostetrica.

Lei immerge Elisa nell’acqua, alla giusta temperatura, per il bagnetto, io e Antonio siamo vicini, subito strilla tanto e si agita, ma presto si rilassa, e si lascia sostenere dalle nostre mani, mentre Gaudenzia delicatamente lava i residui di sangue e vernice caseosa. Poi la avvolge in un telo e da il fagottino in braccio ad Antonio, che è visibilmente stanco ed emozionato, si stupisce di come Elisa lo guarda negli occhi e solo ora mi rendo conto di quanto intensa sia stata questa esperienza anche per lui.

In realtà non è ancora finita, mi avverte che devo ancora espellere la placenta. Mi sento stanca, non ho alcun stimolo, e mi lamento dicendo che lo farò dopo, ho paura di sentire di nuovo dolore. Gaudenzia accoglie questo sfogo con dolcezza, mi da un farmaco che favorisce la ripresa delle contrazioni e, in poco tempo, tutto procede verso l’atto finale.

Finalmente posso andare a letto con la mia piccola Elisa, mia mamma le ha messo i vestitini che avevo preparato e l’ha avvolta in una copertina di lana fatta a mano. L’ostetrica riordina il materiale e parla con Antonio, si fanno un caffè. Lui, in seguito, mi racconterà il loro dialogo: “Per quale motivo – le chiede Antonio- tu hai scelto di aiutare le altre donne a partorire?”, la risposta arriva sicura e precisa: “ Ogni volta che nasce un bambino è la vittoria della vita sulla morte!”

Elisa dorme serena e anch’io cerco di riposare un po’, poi – penso – “finirò il mio fiocco a punto croce da appendere alla porta di ingresso”.

Non dimenticherò mai questa giornata!

Qualche tempo dopo, nelle prime passeggiate con Elisa, incontro un’anziana vicina di casa, che commenta: “Passavo con una mia amica sotto la sua finestra, l’ho sentita gridare per il parto, è rimasta in casa con la levatrice, brava, proprio come le donne di una volta!”

Mi sono sentita orgogliosa di me stessa, capace di usare un “potere” delle donne, che deve restare nelle loro mani. 

Foto 1.Photo by John-Mark Smith on Unsplash

Foto 2. Photo by chi liu on Unsplash