IL PARTO, dal latino partorire, portare al di là.

Il tempo dell’attesa era finito. Parlo di 18 anni fa, come fosse ieri.

Un movimento più deciso mi aveva svegliata nella notte ed era stato il segnale che annunciava quelle otto ore e mezza di travaglio.

Le spinte che mi attraversavano partivano dall’alto per esaurirsi nella terra e ricominciare. Le posizioni che assumevo tendevano verso il basso se non ero direttamente rannicchiata a terra.

Le presenze dovevano essere molto discrete, prima quella del mio compagno che mi assecondava in ogni desiderio ma sapeva sparire al momento giusto, poi dell’amica e quindi della “mia” ostetrica che l’omeopata di fiducia mi aveva fatto conoscere. L’età di 43 anni da una parte e l’attenzione ad affrontare le cose della vita supportata da persone esperte e mani amiche dall’altra, mi/ci aveva condotto a questa scelta.

La forza che mi invadeva non era controllabile e la stretta della mia mano poteva far male. Non me ne rendevo conto e sono stata fermamente redarguita. “Ti sono vicina – mi aveva detto l’ostetrica – ma non mi devi far male”. Un canto semplice, fatto di vocali che risuonavano all’interno e si libravano nell’aria, preparato per mesi accompagnando tutta la gravidanza, sembrava chiamare a raccolta tutti gli spiriti del cielo e della terra. Era stata questa la mia preparazione spirituale che si affiancava a quella della culla e della casa. La primavera aveva invece pensato al giardino!

Poi c’è stato un momento di calma piatta, al centro del maelström. Intanto erano state abbandonate le mura domestiche, raggiunta la città, quindi la clinica. Appena entrata c’è stato il monitoraggio del cuore di chi doveva nascere e, mentre l’ostetrica ufficiale mi incuteva un po’ di timore dicendomi di non lasciarmi andare e di continuare a spingere per evitare affaticamenti del bambino, la “mia” ostetrica mi tranquillizzava dolcemente. Mi sentivo assoggettata a loro in tutto e per tutto, in senso positivo, avevo messo la nostre vite nelle loro mani. Da una parte non volevo contrariare l’ostetrica dell’ospedale, dall’altra sentivo una complicità con chi mi aveva seguita passo passo.

Quindi c’è stata la processione in sala parto e sotto il camicione color smeraldo che il mio compagno stava indossando vedevo spuntare la scritta del Dr. Feelgood, non scelta a caso, perché così si sentiva e mi trasmetteva la sua gioia e il suo orgoglio.

A intermittenza la testa faceva capolino dalla vagina e riscompariva dentro e, come in una radiocronaca che i presenti mi facevano, io seguivo questo suo andirivieni, fino a quando, con uno sforzo finale veramente poderoso, sei nata.

Hai forse sostato un attimo su di me, hai volteggiato tra le mani delle ostetriche che ti avvolgevano in un panno e ti davano un voto… prendevi già un voto alto, un nove! Poi sei finita tra le mani di tuo padre come su un vassoio tenuto da un cameriere di gran classe che non sapeva nascondere l’emozione per quel compito.

E io? Captavo al volo tutte queste immagini ma ero ancora in un “altrove” in cui ti ero venuta a prendere per portarti al di qua. Ho ancora visto dietro l’oblò il dottore che arrivava per fermare l’emorragia dopo che manovre veloci sulla mia pancia tentavano di provocare quel crampo che avrebbe chiuso la strada al sangue. Molto tempo dopo ho pensato che sarebbe stato facile morire in quel momento, credo che non me ne sarei accorta e sarei scivolata via.

Poi, di colpo, mi sono ritrovata, esausta, su una barella, coricata su di un fianco, con te di fronte al mio viso. Le voci mi arrivavano da molto lontano, anche nelle ore successive, proprio come se fossi stata in un altro mondo. Poi il sonno. Quando ti hanno di nuovo messo tra le mie braccia, ero seduta sul bordo del letto pronta a darti il seno e lì ho accolto con estrema dolcezza le parole dell’infermiera che mi diceva: “ Se tutte fossero serene e tranquille come lei, non ci sarebbe problema ad allattare”. Così cominciava la nostra avventura assieme sulla Terra.

Gaudenzia DoraP.S.

Essere seguita passo passo durante la gravidanza, il travaglio e il parto da una persona che si prende cura di te, della coppia e poi del bambino, è un’esperienza unica e speciale. Scegliere quello che può essere meglio per la propria situazione con una persona che è in grado di prospettarti tutte le soluzioni ai problemi a cui si va incontro è un sostegno ineguagliabile, soprattutto quando non hai una mamma, una zia, una sorella vicina. Penso che il ruolo che un tempo potevano avere le grandi famiglie dove tutte le donne si mobilitavano intorno alla puerpera, adesso sia sostituito da queste figure che riempiono un vuoto enorme nella vita delle persone sempre più sole, isolate e medicalizzate. Torna, sotto altre spoglie, quella vicinanza e quella trasmissione di saperi e possono nascere anche grandi amicizie. Bisognerebbe far sì che questo lusso possa essere condiviso dalla maggior parte delle persone.

Un ultimo pensiero anche alla mia ginecologa che, a differenza dell’ostetrica non è presente sempre nel momento cruciale ma che conduce una serie di controlli periodici fondamentali per portare a termine tranquillamente la gravidanza e, seppure con un ruolo più distante dall’intimità della quotidianità, in un certo senso si prende a cuore la tua storia riuscendo a gioire o a piangere con te. Almeno, per me è stato così.

Chiara mg, 7 aprile 2020

Donne nel Parto: Demetrio

Demetrio è nato domenica 11 Dicembre 2016 alle 18.30 con luna crescente, nella nostra casa di Prarostino, con le ostetriche Gaudenzia, Anna e una giovane ostetrica che stava imparando il mestiere, di nome Giulia.

demetrio

Intorno al mio 4° mese di gravidanza una cara amica mi raccontò che vent’anni prima aveva partorito le sue due figlie in casa . Ascoltai affascinata il suo racconto e le sue riflessioni. Nessuno mi aveva mai parlato prima di qualcosa del genere. Mi diede un libro da leggere e il contatto con Gaudenzia. Contattai l’ostetrica che ampliò il mio orizzonte di conoscenze sull’argomento e mi resi conto che l’esperienza del parto poteva diventare un’occasione molto profonda e assolutamente unica di conoscenza di sè. 

Andrés,  il mio compagno, mi raccontò che alcune sue amiche in Cile, stavano già portando avanti da anni esperienze di parto in casa. C’era tutto un movimento di donne determinate a riappropriarsi delle forze ancestrali che venivano loro  sottratte; e l’esperienza del parto naturale era una di queste. Mi documentai molto nei mesi successivi attraverso la lettura e i racconti di persone che avevano partorito in casa. 

La questione era importante e trattava dei massimi sistemi; si parlava di vita, morte, corpo, politica, salute, femminismo, antropologia, educazione, diritti, convenzioni sociali. L’argomento era immenso e per quanto mi riguardava incredibilmente interessante.

Avevo deciso. Volevo che mio figlio nascesse in casa. Lo desideravo con determinazione. Volevo essere protagonista di questa esperienza insieme a lui. Non potevo perdere questa occasione. E non volevo che la perdesse lui! Avevo la sensazione che entrambi saremmo usciti molto più forti da questa esperienza. Andres era d’accordo ed entusiasta.

In questo viaggio intrapreso fu fondamentale per noi aver trovato una guida esperta: Gaudenzia conosceva molto bene il suo mestiere di ostetrica; noi ci siamo affidati a lei e lei ci ha accompagnati. Le sono molto grata per la sua assistenza  e i preziosi consigli che mi ha dato durante gli ultimi mesi di gravidanza, il parto e il puerperio. La sua presenza in quei giorni è stata indispensabile.

Sarebbe bellissimo che le donne avessero più facile accesso all’esperienza del parto naturale e che venissero messe nelle condizioni di scegliere più liberamente come partorire i loro figli. Consiglio sempre alle donne incinte che conosco e frequento di pensare a questa possibilità per il loro parto, provo a raccontare la mia storia, ma devo ammettere che molto spesso questo discorso impaurisce e crea muri nella comunicazione. Me ne dispiaccio davvero. Per me è stato un momento di estrema importanza. E anche per mio figlio.

Nelle settimane successive al parto ho scritto alcuni pensieri. Riporto qualche frase. Sono emozioni vive, un po’ confuse e poco elaborate, ma in qualche modo molto vere.

“Andrés ( il padre, ndr) è rimasto molto colpito dal parto. Ha detto che è una cosa che ha a che fare con le forze naturali come tornado, terremoto, vulcano. Una potenza, una violenza, un’incredibile sprigionarsi di energie, un evento traumatico di creazione primordiale. Mi piace questa sua idea di ciò che è stato, di ciò che lui ha vissuto.

Io invece ho un ricordo meno concreto delle sette ore di travaglio che sono trascorse. Ho vissuto molte emozioni distinte, profonde e contraddittorie: potenza, impotenza, insicurezza e grande forza interiore,  qualcosa che arrivava dall’alto e cadeva nella terra. Incredulità, impossibilità, rassegnazione, paura, angoscia. Stupore, sospensione del tempo, trance, sonno-sogno, percezione delle voci e dei suoni fuori di me. E poi il dolore profondo che stava dentro, che stava sotto, e che intermittente emergeva sempre di più, portandomi nel fondo di me.

Il mio parto è stato un grido intermittente, una potente espirazione, una voce forte e fondante che mi permetteva di generare forza. E’ stato come una voce, dentro. La mia voce. ”

Andrés è stato con me dall’inizio, standomi vicino. Poi nella fase finale del parto mi sono aggrappata a lui con incredibile forza e il suo corpo che mi sosteneva mi ha permesso di far nascere nostro figlio. Ricordo che durante le ultime spinte lui gridava-cantava con me. Forse aveva la sensazione che così l’energia si amplificasse, oppure forse aveva solo voglia di cantare con me.

Gli sono grata di essere stato forte, di essersi fidato di me, di avermi fisicamente sostenuta e di non aver avuto paura. Solo lui poteva farlo. E anche per lui è stato importante averlo fatto.

Demetrio è stato molto bravo a nascere. Abbiamo collaborato bene insieme per questo grande evento. Appena l’ho visto e l’ho toccato, il dolore è svanito; non potevo credere che ci eravamo riusciti e che ora ci stavamo guardando. Un meraviglioso stupore, ricordo di quel nostro primo incontro. In quella penombra magica lui era una bestiolina di puro istinto, stanco ma felice.

Aprile 2020

Giulia 

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Author: Terence Zimwara

Donne nel Parto: Racconti Autobiografici

Ho iniziato il mio mestiere di levatrice 35 anni fa, affiancando tante donne e tante coppie nell’esperienza della nascita, in casa o in ospedale.

All’inizio era come una sfida: poter rispondere ai bisogni e alle aspettative di ogni donna che desiderava partorire in un modo più attivo e consapevole.

Un evento naturale, eppure, nella maggior parte delle volte, espletato in ospedale, il luogo dove si cura la malattia. Ho sempre sentito questo binomio come una stonatura: là dove la gravidanza e il processo del parto  sono fisiologici non dovrebbero esserci comportamenti medicalizzati, interventisti.

Invece negli anni 80 era così: molte donne venivano stimolate già all’inizio del termine di gravidanza, con scollamento delle membrane, amniorexi, infusione di ossitocina; depilate, clisterizzate, spersonalizzate, tenute digiune, obbligate a letto; l’80% di loro subiva l’episiotomia di prassi, moltissime la kristeller, e nessuna era a conoscenza del diritto di scegliere: in che posizione stare, di essere rispettate nei tempi individuali di travaglio, di essere accompagnate da una persona cara, di fare una doccia, mangiare, bere, dormire, usare la voce…..e dopo, di stare col proprio bambino, allattarlo.

 

Poi i dati scientifici hanno dimostrato che il parto, se fisiologico, non necessita di interventismi, che la maggior parte delle procedure di assistenza sono invasive e interferiscono coi processi naturali;  che le donne, se sostenute, sanno partorire; l’OMS controindicò molti comportamenti inutili e controproducenti, dichiarò che l’episiotomia non è utile come sembra, anzi, che nella maggior parte dei casi favorisce l’incontinenza urinaria, il dolore durante i rapporti, disequilibri della sfera sessuale, e che non è detto che col parto debbano avvenire lacerazioni.

 Se non si forza la mano.

 

Che scegliere una posizione  facilita il processo del parto e che i tempi del travaglio sono personali e vanno rispettati; dimostrò che l’allattamento materno era la soluzione migliore per favorire lo sviluppo affettivo – emozionale e l’accrescimento salutare del bambino. Con il tempo, alcuni ospedali si adeguarono abbastanza velocemente alle nuove indicazioni, altri con estrema lentezza e mal interpretando il messaggio educativo di una nuova ostetricia.IMG_1699

Oggi, con la grande epidemia si sta tornando indietro: in alcuni ospedali la coppia viene separata, la donna si ritrova sola, in altri può essere affiancata nel parto, ma dopo, non può più incontrare il partner fino alla dimissione. In altri ancora i padri possono entrare in sala parto e poi tornare ogni giorno fino alla dimissione. In alcuni nosocomi, addirittura, le madri non possono tenere i piccoli con sé nel letto e devono allattarli con la mascherina. Non c’è congruenza, ogni ospedale fa a modo suo, non si capisce in base a quali criteri si pongono delle regole e soprattutto non si tiene più conto delle priorità: il bambino nasce da una madre e ha convissuto 10 mesi con la coppia, e dopo anche tornerà a casa con loro, perché separarlo, perché separare i genitori, se non hanno sintomi.

Infine c’è la relazione tra la coppia e la struttura, il personale, le ostetriche, le puericultrici: a volte gentili, attente, premurose, in altri casi arroganti, aggressive, autoritarie, di fronte a semplici richieste di aiuto.   Le più penalizzate sono spesso le donne che subiscono un cesareo: per motivi di protezione, nei primi giorni non possono avere accanto una persona che le accudisca o le aiuti col bambino, tenendo conto del fattore dolore, limitazione nei movimenti, apprensione, necessità di tempo per sentire, attaccarsi al piccolo, accudirlo. Tutti siamo disorientati di fronte al grande cambiamento, ma noi operatori siamo accanto a pazienti giovani, anziani,  puerpere, neo-padri, bambini, neonati, ancora più disorientati di noi, e comunque col diritto al rispetto e ad un’assistenza adeguata sui diversi piani, clinico, relazionale, emozionale, intellettuale, sociale.

In tanti anni ho incontrato coppie, donne, colleghe, dentro e fuori dagli ospedali, con le quali mi sono confrontata, ho messo in gioco il mio femminile, i miei limiti, le mie speranze.

Ho così sviluppato l’idea di pubblicare storie di  donne nel parto. Nel tempo, ho ricevuto in dono da molte persone, il racconto dei loro vissuti, toccanti e commoventi e, con il loro permesso e gratitudine ho deciso di pubblicarli. Queste storie sono anche un po’ le mie,  perché ho condiviso con loro quei momenti, stando accanto, ascoltando, sostenendo. Per me è stato ogni volta un privilegio e un grande insegnamento. E così, a seguire li pubblicherò a cadenza settimanale.

Buona lettura.

Giornata Internazionale dell’Ostetrica 2020

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Il 5 maggio, in tutto il mondo, si festeggia la professione che ho scelto di esercitare.

Quest’anno che a causa delle contingenze non sono stati organizzati momenti pubblici, ma ci sono motivi più che sufficienti  per ribadire che l’ostetrica è una figura dalla parte delle donne.

Il momento attuale dimostra che l’assistenza ospedaliera  è insufficiente e limitata, che un servizio territoriale di ostriche che possano arrivare nelle case  per assistere coppie, mamme e bimbi, prima, durante e dopo il parto è quanto mai essenziale.

Vogliamo così cogliere l’occasione del 5 maggio, Giornata Internazionale dell’Ostetrica, proprio per promuoverne il riconoscimento, al fine di offrire una migliore qualità di cure, nel pieno rispetto del diritto universale alla salute fisica e psichica delle donne nelle varie età e dei neonati, come chiede l’OMS.

Sono dati scientifici che trovate anche nei due studi consultabili a questi link

Position statement: Emergenza COVID-19 e assistenza rispettosa alla maternità e nascita

Definitivo_position paper n. 2 COVID-19 SYRIO SISOGN